27 novembre 2006

Il Mito dell'Eurabia

C'è un interessante articolo del New York Post sul mito dell'Eurabia che tanti profeti di sventura stanno propagandando in questi anni. Personalmente concordo con l'autore, che gli islamici prendano il potere in Europa Occidentale è improbabile. Non appena la classe dirigente europea e la popolazione europea si sentiranno minacciati dai mussulmani, è più che probabile che vengano espulsi in massa (quelli fortunati).

E gli estremisti xenofobi non hanno neanche la necessità di fare propaganda per denigrare i mussulmani, basta il lavoro degli estremisti islamici a dare loro tutte le munizioni di cui hanno bisogno.

D'altro canto, in altre parti del mondo, pare che stia iniziando una reazione organizzata e massiccia contro l'Islam, che porterà la sfida direttamente nel cuore dell'Islam:

1) Negli USA sta nascendo un movimento anti-islamico, che vuole imitare il movimento anti-comunista degli anni tra il 1950 e il 1990, che tanto successo ha avuto e che fu una delle cause della caduta dell'impero sovietico.

2) Dalla Cina sta già muovendosi il più inaspettato degli aiuti ( missionari cristiani per predicare il vangelo lungo tutta la strada dalla Cina fino a Gerusalemme), se si tiene in mente che i cristiani in Cina sono una minoranza perseguitata che conta solo 100 milioni di fedeli.

3) Dalla Nigeria (il più popoloso dei paesi africani e uno dei più popolosi paesi islamici), le chiese cristiane vogliono imitare i loro fratelli cinesi nello stesso modo, mandando missionari per evangelizzare il nord della Nigeria e tutto il nord Africa fino a Gerusalemme.

Un sandwitch sino-africano, con l'Arabia nel mezzo.

Interessante questa parte di una email di aggiornamento del RTJ (Return To Jerusalem) Project:

God first gave the vision to the Chinese Church to take the Gospel ‘Back to Jerusalem’ in the 1940s. Now, there is exciting news to report as Christians in other parts of the world have grabbed the same vision and are making plans to send thousands of missionaries and evangelists from their nations also back to Jerusalem, where the Gospel first started. The Korean churches share in this great call to complete the Great Commission, believers in Taiwan have launched what they call ‘Taiwan to Jerusalem,’ a growing movement in Mozambique and other parts of southern Africa are mobilizing workers to take Christ’s love and power northward through Africa ‘back to Jerusalem,’ and now the strong and large Church in Nigeria, West Africa, has announced their intention to launch ‘Operation Samaria’ - to send 50,000 missionaries through the Islamic nations of North Africa, all the way back to Jerusalem! This path will take them through many of the most unevangelized places on the earth, such as Morocco, Algeria, Tunisia, Libya, Niger, Chad, Mali, Sudan, and Egypt.

Dopo tutto, la situazione non è così brutta come sembra.

26 novembre 2006

Un terzo degli ingegneri del MIT lavora a problemi di biologia.

Non è una brutta notizia.
Questo però comporta il problema di far comunicare i biologi con gli ingegneri, data la differenza di interessi e linguaggio.
Gli ingegneri si interessano più del "come", i biologi più del "che cosa". I primi lavorano e pensano in termini matematici astratti, mentre i biologi no.

Il fatto che questi due campi siano entrati in contatto in modo così massiccio significa che ci sono ottime speranze che si facciano grandi progressi in avanti nei prossimi anni. Capita spesso che un problema difficile in un campo abbia già trovato soluzione in un'altro.

25 novembre 2006

Jihadisti e puttane

 O di come si possa misurare il fallimento di un gruppo sociale dalla percentuale delle sue donne che sono in vendita

Jihadis and whores di Spengler discute, come in altri articoli precedenti, come la demografia del mondo islamico e dell'Iran in particolare sia in una situazione catastrofica.

Ad esempio, questo grafico mostra le previsioni demografiche dell'ONU perl'Iran nel 2050.

Assomiglia, come si può vedere, alla nostra situazione, solo che lo sviluppo economico dell'Iran è sempre più legato al petrolio che finirà presto o tardi.

La situazione economica è tanto brutta oggi che le donne iraniane non solo hanno praticamente smesso di fare figli, ma hanno anche cominciato a praticare la prostituzione in massa, sia in Iran (nei modi permessi dall'Islam e in altri non permessi) che in altri paesi, sia islamici che europei. In una massa tale che le prostitute iraniane sono il 10-15% in Italia, Germania e Olanda.

Il tempo corre e non esattamente a favore degli islamici. Gli iraniani, essendo i più civilizzati se ne sono accorti prima. Ma anche gli altri se ne stanno accorgendo (vedasi la caduta verticale del numero di figli per donna in paesi come l'Arabia Saudita negli ultimi 30 anni - da 7 a 3,2, con uno sbilanciamento del rapporto maschi/femmine in età riproduttiva di 4/3). Per gli islamisti questa è l'ultima possibilità di sopravvivere, distruggendo la civiltà occidentale. La stessa storia vista con i comunisti dell'Est, che però erano un po' più razionali e non credevano nel paradiso in cielo.

I Cheyenne hanno un proverbio che dice: "Una nazione non è mai conquistata fino a che i cuori delle sue donne non sono a terra".

Alcuni critici hanno contestato questa interpretazione, ma io non credo che sia di molto fuori dal bersaglio. Non è solo il numero di prostitute, ma anche il fatto che vadano a prostituirsi all'estero. Ma anche il numero di ragazza afghane che si bruciano pee evitare un matrimonio che non desiderano.

COme disse in passato Komehini, gli USA sono il Grande Satana, e sono l'incarnazione della società occidentale, con la sua capacità di tentazione quasi illimitata. Siamo troppo militarmnte potenti per sterminarli militarmente, dato che non sono una reale minaccia, e siamo troppo culturalmente potenti per lasciare loro lo spazio necessario a sopravvivere. Perché non esiste più una separazione che permetta loro di sopravvivere. Così come la tenebra non può resistere alla luce di una candela, se non c'è qualche cosa che impedisca alla luce di diffondersi.

Produzione petrolifera iraniana in calo

E non perché calano i prezzi, ma perché scompaiono gli investitori.

Sembra che dopo la dipartita dei giapponesi, dissuasi anche dalle pressioni USA, anche i cinesi stiano riconsiderando l'opportunità e la convenienza di investire nel settore petrolifero iraniano.

 A quanto pare, il petrolio di Azadegan è ben poco interessante per icinesi, dato che è petrolio "pesante" e "amaro", quindi non raffinabile dalle raffinerie cinesi che sono per lo più progettate per raffinare petrolio "leggero" e "dolce". I cinesi mancano sia del know-how per quelle raffinerie (una è in costruzione in Cina da parte di una compagnia occidentale), che dell'interesse di mettersi contro gli USA sulla questione.

Gli unici che hanno il know-how e gli impianti per raffinare quel tipo di petrolio sono gli europei, gli USA, il Giappone. Gli stessi con cui l'Iran si è messo in totta di collisione politica e militare, oltre che economica. Se si calcola che la diminuzione del prezzo del petrolio è stata del 25% e quella della produzione del 15%, si vede che, come minimo, le entrate petrolifere dell'Iran sono dimnuite del 30-35%.

Ovviamente, i contratti di fornitura di greggio rendono un po' più stabili i flussi di cassa per l'Iran, ma significano anche che i prezzi non sono stati così lucrativi come si poteva pensare. Dato che, però, il petrolio sta diventando l'unica fonte di finanziamento dell'economia iraniana, il governo iraniano sta diventando sempre più esposto alle fluttuazioni del merato petrolifero mondiale.

In queste condizioni, la stabilità del regime viene facilmente compromessa da una instabilità dei mercati energetici, dato che produce un aumento dei costi (in caso di prezzi in salita) e una diminuzione dei margini di vendita (in caso di prezzi in discesa). Dopo tutto, un regime è stabile fino a che riesce a riempire la pancia dei suoi fedeli e a tenere sottomessi gli altri. Senza la prima condizione, la seconda è impossibile. E il sostegno a Siria, Hezbollah, guerriglia irachena, le spese per manetenere i Pasdaran e i Basiji non aiutano certo a far quadrare i conti.

21 novembre 2006

Effetti della Globalizzazione NeoLiberale

In questo articolo della P2P Fundation si discute degli effetti della Globalizzazione NeoLiberale.

L'articolo è interessante e vale la pena di essere letto, ma colpisce come alcune affermazioni siano in stridente contrasto con quello che viene pubblicato da SlashDot.

In breve sull'articolo di P2P Foundation si accusa la globalizzazione di essere la causa dei crescenti guadagni della classe imprenditoriale o almeno del management delle grosse compagnie multinazionali, in quanto permette loro di spostare la produzione di beni e servizi in qualsiasi luogo della Terra dove vi sia offerta di manodopera a basso costo e di usare questa possibilità come minaccia per mantenere bassi i salari che il mercato richiede.

In gran parte questo è vero, ma solo fino ad un certo punto.

Infatti, come pubblica Slashdot in questi giorni, ma come era gia stato detto da Bill Gates numerose volte ed era osservabile fin dall'inizio, la possibilità dei mercati emergenti (Russia, Cina, India, e altri) di fornire i lavoratori a elevato valore aggiunto richiesti dal mercato globale è limitata, tanto che l'outsourcing dei lavori dell' IT verso l'India ha già rallentato fino a quasi fermarsi in quanto le aziende USA non trovano più lavoratori con i requisiti necessari per essere impiegati in posizioni elevate.

Semplicemente, il passaggio da una economia di sussistenza agricola e di pianificazione statale ad una industrializzata e post-industriale non è ne semplice ne facile per nessuno in quanto vi sono parecchi problemi da risolvere:

1) Implica un periodo di adattamento della popolazione, che deve selezionare gli individui con i giusti tratti genetici che la rendano adatta ad una vita produttiva in città, con orari di lavoro organizzati secondo tabelle precise; questo implica che moltissima gente che poteva vivere e sopravvivere in campagna lavorando la terra con una produttività di sussistenza, ma non è in grado di adattarsi ai ritmi cittadini, alla vicinanza con così tanti individui sconosciuti, etc.,  non sarà in grado di riprodursi e sarà sostituita dai discendenti di chi sarà in grado di adattarsi e prosperare.

2) Dato che le economie emergenti stanno "emergendo", esse richiedono una grande quantità di investimenti per costruire le infrastrutture necessarie a permettere di lavorare in modo proficuo, come complessi di appartamenti nelle città, acquedotti, fogne, strade, linee elettriche, centrali elettriche, distributori di benzina (o altro carburante), complessi commerciali, nuovi impianti industriali, strutture sanitarie, scuole, strutture finanziarie, etc. Questo rimplica che una parte non trascurabile dei lavoratori a maggior valore aggiunto (ingegneri, scienziati, medici, economisti, etc.) deve essere dedicata a costruire l'infrastruttura e a mantenerla, e quindi non può dedicarsi a "portare via il lavoro" ai suoi corrispettivi occidentali.

3) In Cina la costruzione di così tante fabbriche dedicate all'esportazione, il boom edilizio e lo sviluppo del paese hanno in pratica esaurito la disponibilità di manodopera sia specializzata che di quella non specializzata (e forse è per questo che l'IT è andato in India invece che in Cina); tanto che i salari reali stanno crescendo a ritmi pari a quelli della crescita dell'economia cinese (intorno al 10% annuo) e alcune aziende stanno già spostando gli investimenti in paesi con manodopera meno cara, come il Viet-nam e la Cambogia.

4) Dalla Russia non mi aspetto molti problemi di concorrenza; in primo luogo sta venedo colpita da quella che si può chiamare la "maledizione del petrolio" (un paese esportatore di petrolio, che lo usa come prima risorsa finanziaria, corre perennemente il rischio di essere preda di un regime autoritario, in quanto il potere economico dato dal petrolio permette a chi governa di controllare la popolazione senza subire effetti economici diretti - il paese può finire economicamente in rovina, ma l'élite al potere ha i mezzi per rimanervici). Inoltre, sta subendo una contrazione demografica molto grave (con caduta della aspettativa di vita media, in particolare degli uomini), che non promette bene per il futuro.

5) Tutti i paesi emergenti devono costruire le istituzioni formali ed informali che devono gestire la società che stanno costruendo. Si può costruire una serie di fabbriche, ma il sistema bancario che fa circolare il denaro, gestisce i profitti prodotti dalle industrie, i risparmi della gente comune, concede prestiti ed investe in nuove imprese, non si improvvisa in pochi anni o anche in un decennio o due. Infatti, il Giappone, che si sta integrando ormai da 60 anni nel sistema economico occidentale, ha avuto gravi problemi con il suo sistema politico e bancario negli anni 1990-2000. Lo stesso è vero per la Cina, dove il rispetto della legge da parte delle élite al potere è molto scarso, e c'è una grande quantità di crediti inesigibili che sarà difficile ammortizzare. Questo rende difficile il tipo di sviluppo economico post-industriale, e blocca la Cina ad un modello industriale datato, ma gestibile dal potere politico.

6) Dei tre principali paesi dalle economie emergenti interessati dalla globalizzazione, la Russia soffre di mancanza di democrazia, sia politica che economica, e le infrastrutture industriali sono ancora in gran parte obsolete (la parte buona del periodo di Yeltis al potere è stata che ha permesso di chiudere una quantità di fabbriche assolutamente antieconomiche da mantenere e quindi rifocalizzare gli investimenti la dove rendono di più). La Cina soffre di mancanza di democrazia e di un enorme numero di contadini da urbanizzare. L'India, unaca tra i tre, ha una democrazia funzionale, nonostante le sue carenza, ma ha un deficit infrastrutturale ancora molto elevato e anche essa ha una grande popolazione contadina da inurbare.

Problemi Occidentali

L'Occidente, in particolare l'Europa, ha subito malamente questa ondata di globalizzazione, perché ha ceduto fin troppo alla seduzione dello stato sociale. In parte questo può essere considerato come conseguenza della Guerra Fredda e degli anni del Terrorismo Rosso in Europa (1970-1985). Si è scelto di allargare i cordoni della borsa pe anestetizzare le tensioni politiche e sociali. Adesso ne paghiamo una parte dei costi e in futuro ne pagheremo altri. L'alto livello di tassazione e l'appiattimento dei rettiti che ne è conseguito ha causato una perdita enorme nella spinta imprenditoriale e quindi nella creazione di nuovi posti di lavoro; molti investimenti sono andati all'estero (anche una differenza del 1% annuo, composta nel tempo fa una bella differenza in 20 o 30 anni); la iperregolamentazione ha fatto si che anche gli imprenditori che volevano continuare ad intraprendere siano stati scoraggiati e intralciati nei loro sforzi, aggravando il problema; e non ultimo, i costi elevati della manodopera hanno mantenuto un livello di disoccupazione elevato, permettendo per lungo tempo di tenere bassi gli stipendi reali e quindi inibendo l'ingresso nel mondo del lavoro di un gran numero di giovani e donne (che avrebbero iniziato dai lavori meno pagati e sarebbero, con il tempo progrediti verso lavori più remunerativi).

Questo ha fatto si che molte fabbriche a basso valore aggiunto fossero esposte alla concorrenza internazionale, che con i suo bassissimo costo della manodopera le ha facilmente spazzate via.

Conclusioni

Il futuro vedrà una Europa (e in parte il Nord America, l'Australia e il Giappone) lottare con l'eccesso di statalismo, per ritornare alle radici liberali che ne hanno decretato il successo. Vedrà anche le potenze economiche in via di sviluppo lottare per sviluppare le infrastrutture sociali, politiche ed economiche necessarie a sostenere lo sviluppo.

Chi vincerà?

Tutti, se si muoveranno verso modelli economici più liberi e meno statalizzati. Nessuno, se prevarranno i protezionismi e gli egoismi statalisti.

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