05 novembre 2010

La Rigenerazione delle Salamandre come una via alla Rigenerazione di Arti negli Umani

W:Axolotls, (albino specimens)

Image via Wikipedia

Maria Konovalenko pubblicizza un interessante articolo ( Evidence for the Local Evolution of Mechanisms Underlying Limb Regeneration in Salamanders ). In questa ricerca gli autori, attraverso lo studio di alcune salamandre geneticamente modificate, sono giunti alla conclusione che la capacità di rigenerazione delle salamandre della specie axolotl non è dovuta a cellule staminali pluripotenti, ma solo a cellule staminali tessutali. In pratica, dalle cellule del muscolo si riformano i muscoli, mentre dalle cellule nervose si riformano i nervi e da quelle dermiche si riforma il derma, etc.

Per arrivare a questa conclusione, i ricercatori hanno preso degli embrioni di salamandra, hanno rimosso le cellule che sarebbero andate a formare le gambe e le hanno sostituite con cellule geneticamente modificate che esprimevano una proteina fluorescente. Una volta che l’embrione si è sviluppato in un individuo adulto, le cellule brillavano sotto il microscopio. Una volta amputata la zampa, è stato possibile osservare direttamente le singole cellule unirsi al blastema e ricrescere.

Al contrario di quello che ci si aspettava, solo le cellule appena sotto la pelle potevano diventare cellule di altro tipo, mentre le cellule dei muscoli costruivano e quelle della cartilagine costruivano cartilagine.

Il prossimo passo della ricerca è di scoprire quali sono le informazioni genetiche che governano la formazione del blastema e verificare se questo approccio può essere applicato anche ai mammiferi e all’uomo in particolare.

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In Situ Bioprinting per la guarigione rapida dei tessuti

Ne abbiamo già parlato l’anno scorso, con la spedizione delle prime stampanti di questo genere ai vari laboratori di ricerca, e adesso vediamo i primi risultati pubblicati.

In Situ Bioprinting of the Skin for Burns è stato presentato alla American College of Surgeons Clinical Congress. I ricercatori del Wake Forest Institute for Regenerative Medicine (Weixin Zhao, Tamer Aboushwareb, Dennis Dice BS, Anthony Atala, James J Yoo) hanno mostrato i risultati di un esperimento fino ad ora unico: l’utilizzo di una stampante inkjet che usa cellule di tessuto vivente al posto dell’inchiostro. La ricerca ha mostrato una guarigione rapita già nelle prime due settimane, con la chiusura della ferita entro la terza settimana, nei soggetti trattati (ma non in quelli non trattati).

La capacità di coprire le ferite da ustione e simili è importante in quanto la perdita completa (pieno spessore) della pelle di una dimensione superiore a 4 cm non guarisce mai autonomamente. Il trattamento sarà importante per 10.000-40.000 persone negli USA e venti volte tanto nel resto del mondo.

La stampante dispone di due testine, una delle quali espelle le cellule della pelle miste a fibrinogeno (un coagulante del sangue) e collagene di tipo I (il componente principale del tessuto connettivo delle cicatrici). L'altra testina espelle la trombina (un altro coagulante).
Come i componenti delle resine a presa rapida che devono essere tenuti separati fino a quando la miscelazione provoca una reazione chimica che indurisce la resina, i prodotti delle due testine di stampa si mescolano e formano immediatamente la fibrina, una terza proteina a sua volta coinvolta nella coagulazione del sangue. La miscela è completamente ricoperta da uno strato di cheratinociti (cellule della pelle), depositati con lo stesso metodo di stampa.

In futuro la ricerca sarà condotta anche sui maiali, che hanno una pelle più simile a quella umana.

Solo negli USA muoiono per ustioni 4.000 persone ogni anno; 40.000 persone vengono ospedalizzate, di cui 25.000 in centri specializzati; e vengono trattate 500.000 ustioni ogni anno. Il 38% degli ospedalizzati hanno ustioni su più del 10% della superficie del corpo, mentre il 10% ha ustioni su più del 30%. La maggior parte ha ustioni su parti fondamentali come viso, mani, piedi.

In molti casi le ustioni, anche se trattate, sono gravemente invalidanti e richiedono cure estremamente lunghe e dolorose. Questa tecnologia, pienamente sviluppata, ha la possibilità di ridurre notevolmente il dolore delle vittime, il costo delle cure e il livello di invalidità, non che il numero di vite perse.

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Cinque settimane per rigenerare la punta del dito

Un articolo della CNN descrive l’avventura di una donna per avere la punta del suo mignolo rigenerata – cinque settimane in cui ha ignorato i consigli dei medici e ha scritto e-mail a specialisti in giro per gli Stati Uniti.

1. La punta del dito di Deepa Kulkarni è tagliata via da una porta
2. Un chirurgo ortopedico e medico di pronto soccorso ha detto che non era possibile ricucire la punta del dito al moncherino e uno specialista ortopedico ha suggerito di amputare ulteriormente per permettere al moncherino di guarire meglio.
3. Viene trovato il sito web e la e-mail del Dr. Stephen Badylak, dell'Università di Pittsburgh medico e pioniere della rigenerazione della punta delle dita (è apparso in “60 minutes” e da Oprah [programmi popolari negli USA - NdR])
4. Kulkarni prende un appuntamento con il Dr. Michael Peterson, un chirurgo ortopedico di Davis. In un primo momento, Kulkarni dice di essere titubante a provare la rigenerazione dei tessuti perché non l’ha mai fatta prima, ma lei gli da qualche materiale da ricercare, e lei dice che alla fine lui accetta di provare.

La terapia ha richiesto di pulire il dito e rimuovere il tessuto cicatriziale - un processo chiamato debridement - e poi immergere il dito nella polvere per lesioni MatriStem. Dopo sette settimane di trattamento, la punta del dito è ricresciuta.

Siate precisi nel tenere la documentazione. Kulkarni, per esempio, ha fotografato il suo mignolo durante varie fasi della rigenerazione, e ha inviato le immagini via e-mail a vari medici e in seguito alla compagnia di assicurazione per convincerla a rimborsare i 1.665 dollari spesi per il farmaco che ha rigenerato il suo mignolo.

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Perché il Reattore Veloce Integrale doveva morire

L’ Integral Fast Reactor (IFR, in origine Advanced Liquid-Metal Reactor) è un tipo di reattore nucleare autofertilizzante. Questi reattori sono progettati per estrarre quasi tutta l’energia dell’Uranio e del Torio, diminuendo le necessità di carburante di quasi 100 volte. In pratica con la tecnologia IFR da sola sarebbe possibile mantener il consumo mondiale attuale di energia per un miliardo di anni.

Il Department of Energy degli USA aveva un progetto IFR fino al 1993, quando venne cancellato. Altri paesi hanno reattori autofertilizzanti in via di sviluppo e in uso. L’idea, infatti, non è nuova.

Engineer-Poet, però, in un commento ad un articolo su The Oil Drum, cita un documento non classificato del DoE:

During the 50 years that the Federal Government controlled the U.S. uranium enrichment enterprise, DOE generated over 700,000 metric tons of depleted uranium hexafluoride (DUF6).

About 10% of that is suitable for enrichment to LWR fuel, but fast breeders or converters can use 100% of it.  At 0.8 tons of metal/GW-yr, that is 590,000 GW-yr of generation or 590 years at 1 TWe without mining another gram of uranium.  The USA is currently using about 450 GW average.

Il che significa che, volendo, gli USA potrebbero produrre tutta l’energia che consumano annualmente (non solo quella elettrica) utilizzando degli IFR senza dover estrarre un grammo di uranio per i prossimi 400 anni.

Pensateci: l’industria del carbone chiusa, quella del petrolio ridotta a rifornire l’industria chimica, niente petroliere in giro per il mondo, nessun incidente petrolifero, zero CO2, elettricità che costa la metà rispetto ad adesso, nessun ricatto da parte dei paesi produttori di idrocarburi (penso al Medio Oriente e alla Russia in particolare), l’inquinamento da idrocarburi scomparso, niente soldi che finanziano regimi dispotici o terrorismo.

Sarebbe bello, ma non per tutti. Se foste i proprietari delle industrie basate sugli idrocarburi vedreste quasi tutta la vostra ricchezza scomparire. Tutto il denaro che vi permette di frequentare politici, belle donne e di cenare con capi di stato sparirebbe inesorabilmente. Ma anche i politici e gli attivisti ecologisti, senza più nulla contro cui protestare, come potrebbero cenare ad aragoste e permettersi di fare congressi e summit a Bali o in altre zone esclusive ed esotiche?

Ecco perché il progetto dell’IFR doveva morire.

The Ergosphere: Why the Integral Fast Reactor had to die

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